Democrazia fallita
La democrazia non muore sempre nel fragore dei carri armati. A volte, si spegne in un sussurro.
Te ne accorgi non dalle strade invase dai soldati, ma dal silenzio che si fa strada nelle piazze un tempo brulicanti di voci. Dal modo in cui il vicino, un tempo loquace, distoglie lo sguardo quando accenni alla politica. È un veleno che gocciola lentamente nel pozzo della comunità, e nessuno osa più bere.
Viviamo ancora nell’incantesimo, nell’illusione. Andiamo a votare, come un rito svuotato di significato. Deponiamo la nostra scheda in un’urna che sembra una bara per la nostra volontà. I candidati sono fantasmi che si aggiano per gli schermi, promettendo protezione da pericoli che loro stessi hanno ingigantito. La legge, un tempo scudo del cittadino, è diventata un’arma brandita solo da chi detiene il potere.
E la paura cambia casa. Non abita più nei sotterranei del regime, ma si annida nel tuo salotto, mentre guardi il telegiornale. Si insinua nelle tue scelte, quando decidi di non firmare quella petizione, di non condividere quell’articolo, di insegnare a tuo figlio che è meglio essere invisibili. La libertà di parola non ti viene tolta; te la cedi, in cambio di una quiete grigia e menzognera.
Questa è l’essenza della democrazia fallita: un corpo che ancora cammina, ma il cui cuore ha smesso di battere da tempo. È la lenta, inesorabile agonia della speranza, sostituita dal pragmatismo della rassegnazione. È la tomba più subdola, perché costruita con le nostre stesse mani, mattone dopo mattone di indifferenza e paura.
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